Una delle esperienze che più mi fecero aprire gli occhi su come la storia viene spesso insegnata in maniera distorta e unilaterale, l'ho vissuta sulle Alpi austriache tanti anni fa. Ero con un caro amico austriaco, che parla un eccellente italiano, e che mi propose di andare a visitare una chiesetta risalente, mi disse lui, all'epoca delle "migrazioni dei popoli". Lo guardai con aria incuriosita, chiedendogli di quali popoli e di quali migrazioni stesse parlando. Dopo qualche minuti di dialogo fra sordi mi si accese una lampadina, e dissi "ah, ma vuoi dire delle invasioni barbariche!" A quel punto fu lui a guardarmi con aria perplessa e chiedermi che diamine volessi dire. "Parliamo di quando è finito l'impero romano, giusto?" chiesi io. "Certo, del periodo delle migrazioni dei popoli. In tedesco si dice Völkerwanderungen." Io non volevo credergli, la discussione diventò affettuosamente animata, tanto che quando tornammo a casa dei suoi genitori, dove eravamo ospiti, in un paesino da cartolina, lui tirò fuori dalla soffitta i suoi libri di testo del liceo per farmi vedere che non stava inventando nulla (eravamo in un'epoca in cui internet non esisteva, e tantomeno google, ergo non avevamo potuto controllare dal telefonino cercando su wikipedia, come avremmo fatto oggi...). E, in effetti, dovetti rendermi conto di come quello che nelle scuole italiane viene descritto come un periodo oscuro, di saccheggi, stupri e incendi da parte di "barbari" che irrompono attraverso i confini dell'impero Romano, cancellando così secoli di civiltà, nelle scuole tedesche viene rappresentato, più o meno, come una tranquilla passeggiata. Il termine tedesco è infatti composto da Völker, ovvero popoli, e wanderung, che si può tradurre come "escursione". Il termine tedesco fa quindi visualizzare una sorta di pacifica attività intrapresa a scopo ludico da interi popoli :-)
Anni dopo imparai la lingua olandese, e in maniera molto simile al tedesco, si parla di volksverhuizingen. Il termine olandese verhuizing vuole letteralmente dire "trasloco", e quindi lascia intendere che effettivamente interi popoli hanno cambiato casa, ma senza lasciar sospettare eventi traumatici. Col senno di poi, la storia scritta dai discendenti dei barbari :-) abbia un tono un po' diverso da quella scritta dai discendenti dei sudditi dell'impero Romano non è sorprendente, le due prospettive sono indubbiamente diverse. Rimane, almeno per il sottoscritto però sorprendente realizzare quanto sia grande la differenza di percezione. Leggendo un po' nel redigere questa recensione ho anche trovato che esiste, oggi, un'intera pagina di Wikipedia in italiano che discute di quest'argomento, che però all'epoca in cui il sottoscritto andava a scuola non esisteva neanche: i barbari erano barbari e basta. E, in realtà, quattro secoli di storia, più o meno dal 400 all'800, ovvero dalla cosiddetta "caduta dell'impero romano d'occidente" fino alla nascita del Sacro Romano Impero con Carlo Magno, erano a scuola considerati come non esistenti. "Secoli bui", in cui la civiltà era andata drammaticamente indietro, e di cui si sapeva poco o nulla. E di cui si riteneva che vi fosse poco da sapere.
Il libro di Alessandro Barbero, "Barbari: immigrati, profughi, deportati nell'impero romano", aiuta certamente a dare una prospettiva più ampia al lettore italiano, specialmente quello cresciuto con la prospettiva scolastica di cui sopra. È un libro agile e relativamente breve, che descrive i processi che portarono grandi quantità di quelli che oggi chiameremmo migranti (e che erano appunto i barbari, Goti, Vandali, Unni, etc. etc.) a istallarsi all'interno dei confini dell'impero o appena fuori, coprendo gli ultimi secoli di vita dell'impero, coprendo il periodo che va dal regno di Marco Aurelio (che muore nel 180) più o meno fino al 400.
Come lo stesso Barbero discute utilmente nella sua introduzione al libro, la prospettiva storiografica recente si è evoluta anche a causa delle attuali problematiche relative ai cosiddetti "migranti", che, piaccia o meno, stanno facendo evolvere il volto dell'Europa e costituiscono uno dei punti di attrito politico più visibili della nostra epoca. E, mutatis mutandis, e con tutte le limitazioni di analogia storiche così distanti, Barbero rende chiaro per secoli i "barbari" furono i migranti dell'impero, a volte resi indispensabili dalle crisi demografiche dell'impero, a volte come manodopera benvenuta e dai proprietari terrieri, e dall'esercito.
Anche se il libro ha uno sviluppo cronologico, questo è però "mitigato" dalla scelta dell'autore di affrontare i diversi temi che hanno caratterizzato le varie epoche, e permettendo al lettore italiano di vedere le cose da una prospettiva più complessa, aiutandolo a capire come l'impero romano fosse fortemente multinazionale, e come le crisi demografiche, dovute anche a grandi epidemie, siano state un elemento probabilmente determinante dell'evoluzione dell'impero.
L'autore discute con competenza ma senza mai diventare inaccessibile per il lettore non specialista numerose fonti originali (e le difficoltà legate alla loro comprensione), nonché recenti scoperte archeologiche che aiutano lo storico contemporaneo a capire la società dell'epoca. Barbero affronta anche in maniera interessante il problema dell'identità (un problema di grande attualità), ovvero cercando di capire quale fosse la percezione di sé, della propria identità, dei barbari romanizzati, alcuni dei quali hanno ricoperto, nelle ultime fasi dell'impero, ruoli importanti nella società romana. Un problema che ovviamente risuona con le discussioni contemporanee sull'identità degli immigrati di seconda e terza generazione nell'Europa contemporanea.
Il sottoscritto ha trovato particolarmente interessanti gli ultimi capitoli del libro, dove si parla del ruolo chiave che i nuovi emigrati assunsero, nelle fasi tarde dell'impero, nell'esercito, vera struttura portante del tardo impero. Nonché, di quella che Barbero definisce come "il fallimento dell'integrazione gotica", evento che portò ad una serie di eventi che risultarono poi nella "caduta dell'impero". Il parlare di "fallimento dell'integrazione" dà con chiarezza il messaggio che non si trattò dell'arrivo di feroci saccheggiatori, ma piuttosto di un delicato equilibrio che partiva dal desiderio di un gruppo organizzato di migranti di vivere, pacificamente, sotto l'egida dell'impero. Equilibrio fragile che si spezzò, con risultati catastrofici.
Il libro merita di essere letto non foss'altro che per offrire al lettore italiano che continua a vedere quel periodo attraverso gli occhiali delle "invasioni barbariche" una prospettiva un po' differente e meno "unilaterale".
La storiografia italiana rimane però drammaticamente carente per tutto quello che riguarda cosa succede dopo la "caduta dell'impero", fino al medioevo per così dire più "civilizzato" (appunto quello che inizia col regno di Carlo Magno, su cui Barbero ha scritto un altro piacevole ed informativo libro). Non è un caso che la stessa ben fatta pagina Wikipedia sulle "invasioni barbariche" nonché quella un po' più spartana sui cosiddetti "regni romano-germanici" citi pochissime opere di storici italiani, alcune risalenti agli anni '40 del XX secolo. È difficile non avere la sensazione che per gli storici italiani la caduta dell'impero romano abbia rappresentato un po' la fine della storia antica e quindi di qualsiasi interesse fino ad un medioevo identificabile come tale. Finito l'impero, cos'altro dire?
Per questo, il lettore italico interessato all'argomento deve rivolgersi altrove. E per questo il sottoscritto ha deciso di affrontare l'opera di Dick Harrison, storico conosciutissimo in Svezia (dove è una sorta di "storico nazionale"), ma poco noto altrove. Per chissà quale motivo, molte sue opere sono tradotte in olandese, ma non ad esempio in inglese (e lasciamo stare in italiano). Ho quindi trascorso buona parte del mese di dicembre, in questo curioso anno 2020, leggendo il suo voluminoso tomo sulla storia dell'Europa occidentale dal 375 all'800. Il titolo è, appunto, "De Volksverhuzingen", ovvero, letteralmente, "I traslochi dei popoli".
Come l'autore spiega nell'introduzione, il libro si dirige sia agli storici "professionisti" che al pubblico interessato. E fornisce una prospettiva esaustiva della storia di quattro secoli chiave della storia europea, descrivendo non solo gli eventi storici ma anche esplorando il mondo delle idee degli europei di quel periodo e il loro modo di vivere. Ovviamente il lavoro dello storico che vuole indagare questo periodo storico è reso più difficile da una relativa scarsità di fonti scritte, e Harrison fa anche lui affidamento ad una sintesi di opere scritte e risultati archeologici. L'autore è ben cosciente che questo periodo storico ha fama di essere fatto di "secoli bui", caratterizzati da instabilità e violenza. E mentre instabilità e violenza vi sono sicuramente state, il quadro complessivo è molto più complesso ed interessante.
Un ruolo da protagonisti hanno i Longobardi (l'unico argomento di questo periodo storico su cui la storiografia di lingua italiana ha dato un contributo significativo, come messo in evidenza dallo stesso Handerson), che per quasi tre secoli dominarono l'Italia, e che certamente non si possono considerare semplicemente come "barbari". Handerson esplora anche lui il concetto di identità, mostrando come per molti popoli, sia i Goti che i Longobardi che presero il loro posto, una presunta continuità con l'impero, una presunta "romanità" erano essenziali alla propria immagine di sé come legittimi governanti. Continuità che peraltro permane nei secoli col concetto di "Sacro Romano Imperatore" da un lato e con gli imperatori bizantini che si definivano anche loro "romani".
Molta della varietà culturale dell'Europa nasce in questi secoli, e molte divisioni che permangono a tutt'oggi, al di là dei confini degli stati nazionali, nascono proprio in quel periodo. Un esempio banale è la differenza linguistica, in Italia, fra dialetti siciliano, calabrese del sud e salentino, luoghi che rimasero sotto il dominio bizantino, e i dialetti del ceppo campano e pugliese del nord, luoghi che divennero parte del dominio longobardo. La differenza linguistica, originatasi appunto durante i "secoli oscuri", è ben visibile (anzi, udibile) a tutt'oggi.
È quindi un peccato che un libro così non sia accessibile al lettore italiano, ed è un peccato che la visione italiana rimanga così colorata da termini quali "invasioni barbariche", a fronte di una realtà molto più interessante e variegata. Posso solo sperare che in futuro la storiografia italiana si decida ad esplorare un periodo storico che, anche se "oscuro", è stato fondamentale per la definizione dell'Europa odierna.