Iniziamo questa recensione dagli aspetti positivi: le oltre 400 pagine del libro di Robecchi si possono leggere con piacere, come una lettura leggera e rilassante. Robecchi sa chiaramente scrivere, ha mestiere, e il suo essere stato autore di spettacoli televisivi comici traspare dalla sua capacità di "gestire la scena".
Però ... spesso, nel corso della lettura, si percepiscano delle note stonate, che a lungo andare risultano fastidiose per il lettore (o almeno per questo lettore...) impedendogli di lasciarsi trasportare fino in fondo dalla narrazione.
E queste note stonate derivano dalla sovrapposizione di diversi registri narrativi, nel corso del libro, che risultano dissonanti fra loro. Mi piacciono i noir, li leggo volentieri, e ne ho letti di tanti tipi. Ci sono quelli impostati su un registro narrativo coerentemente duro, come quelli di Massimo Carlotto (a volte in maniera esageratamente duro, ma questo è un'altro discorso). Ci sono quelli impostati su un registro narrativo scanzonato, come quelli di Marco Malvaldi, in cui la violenza è trascurabile, e il comico prevale. In questo caso l'omicidio necessario per giustificare la narrazione appare lontano, quasi uno sfondo dipinto, e mai nel corso della lettura si ha la sensazione che i protagonisti siano sia pur lontanamente in pericolo.
Ovviamente vi sono illustri esempi di sovrapposizione di registri narrativi, in cui il comico ed il drammatico si alternano. Andrea Camilleri in primis ne è un illustrissimo esempio, nelle storie del commissario Montalbano il registro drammatico delle storie di mafia si alterna abilmente col registro comico delle sciocchezze di Catarella, o con il registro erotico delle avventure di vari personaggi. Altro esempio, per rimanere nella scuderia Sellerio, è Andrea Manzini, col suo commissario dal passato torbido, e con i suoi morti trucidati, che si alternano col registro comico delle avventure di un paio dei poliziotti agli ordini del commissario.
Robecchi sembra impostare il suo noir, per la maggior parte, sul registro comico: tutti i rappresentanti delle forze dell'ordine sembrano usciti da un filmetto comico anni '70, i primi omicidi del libro sono stilizzati così da far sì che non sia possibile percepirli come violenti, e molti dei personaggi sono francamente divertenti. Nulla di male a costruire un noir su questo registro, del resto Malvaldi ci riesce benissimo e risulta gradevolissimo. Il problema è quando, all'interno di questo registro, iniziano ad apparire personaggi, ambienti, e fatti che sono così intrinsecamente drammatici da risultare stonati, stridenti, all'interno di una narrazione impostata su un registro prevalentemente comico.
L'ambiente dei neonazisti, gente che fa soldi vendendo a "collezionisti" orridi oggetti confezionati con la pelle di poveretti assassinati nei campi di concentramento, non può in nessun modo essere descritta o discussa nel registro comico. Ma Robecchi non riesce (a differenza di altri autori) a cambiar registro quando dovuto, per cui l'inserimento (peraltro poco necessario) di questi fatti drammatici, dolorosi (una ferita profonda nella civiltà europea) dà la stessa sensazione di un pezzo di Mahler eseguito nel mezzo di un'operetta. Entrambi possono essere validissimi, e piacevoli da ascoltare. Insieme, stonano e lasciano l'ascoltatore perplesso.
Altrettanto perplesso rimane il lettore nel vedere il protagonista che si arma di una pistola con la matricola cancellata e si reca ad affrontare i neonazisti in questione con un'incoscienza che potrebbe risultare simpatica nel registro comico, ma, visti i lati drammatici, risulta dissonante.
Questo lettore è anche rimasto molto perplesso rispetto al trattamento degli zingari nel libro (alcuni personaggi chiave sono di etnia Sinti). È un trattamento, di nuovo, da operetta, in cui gli zingari non sono distinguibili fra di loro, non sono individui ma personaggi, rappresentati tutti come ladri ma con un senso dell'onore spinto all'eccesso, abili a maneggiare il coltello per difendere la propria comunità ma refrattari a qualsiasi contatto con la società circostante. Una caratterizzazione un po' grottesca, che di nuovo può andar bene se il registro narrativo è coerente. Penso ad esempio agli zingari dipinti da Niccolò Ammanniti nel racconto Fa un po' male, nella raccolta Il momento è delicato: nulla in quel racconto è realistico, il registro è grottesco, e gli zingari sono solo spettri dei timori del lettore senza individualità alcuna. Ma, nel libro di Robecchi, l'aver evocato lo sterminio degli zingari nei lager nazisti fa sì che non sia più possibile usarli narrativamente come "caratteristi" senza rischiare, tutto sommato, di adottare, inconsciamente e involontariamente, lo stesso punto di vista di chi mandava gli zingari nei lager. Sarebbe stato doveroso descriverli, se nella narrazione dovevano entrare, come persone prima e come "caratteri" dopo.
In sintesi, un'occasione mancata, un noir che sarebbe stato simpatico se si fosse tenuto sul registro divertente, ma che risulta stridente nella sua incursione nel registro cupo e drammatico dei campi di sterminio.