Vi sono romanzi ambientati nella cultura dell'autore (o autrice che sia) e romanzi ambientati in epoche - o culture - diverse da quella di chi scrive. Inevitabilmente i primi risultano (con le dovute eccezioni) più incisivi e "veri" rispetto ai secondi, non foss'altro che perché la conoscenza della cultura da parte dell'autore o autrice è non solo a livello di testa ma anche a livello di pancia. Leggere un romanzo di questo tipo è un modo efficacissimo per immergersi nella cultura di chi scrive,uno dei modi più veri, sorpassato solo dalle eccezioni ovvie dell'aver vissuto in quella cultura, e, forse ancor più importante, di averne imparato la lingua - nonché dall'aver avuto una relazione di coppia con qualcuno proveniente da quella cultura. Un buon romanzo permette di scoprire una cultura più di un viaggio da turista, visto che durante quest'ultimo i contatti con gli indigeni saranno, inevitabilmente, superficiali e limitati in contenuto dal dover spesso interagire in una lingua terza.
Leggere un paio di romanzi dell'Ólafsdóttir è stato, per me, un modo di iniziare ad intuire una cultura che mi era fino ad ora, mi sono reso conto durante la lettura, sconosciuta, ovvero la cultura islandese. E la cosa più sorprendente è stata percepirne la distanza rispetto alla mia cultura di origine. Percepire la distanza di culture "lontane" come quella cinese o giapponese attraverso un romanzo non è sorprendente, per un europeo. Percepire la cultura islandese, che tutto sommato è una cultura europea, come altrettanto remota, se non a tratti più remota, di quella giapponese, è stata una sorpresa che ha contribuito a rendere interessanti, per me, i romanzi dell'Ólafsdóttir.
Certamente leggendo Rosa candida e L'eccezione ho avuto la netta sensazione che i rapporti di coppia, in Islanda, funzionano in maniera molto diversa da come funzionano nel sud dell'Europa. Una sensazione simile a quella che ho avuto attraverso la lettura di letteratura giapponese (senza per questo implicare che Giappone e Islanda siano simili fra loro!), nel senso di star leggendo attraverso una "distanza culturale" paragonabile. Sia pure da punti di vista diversi i rapporti di coppia, con il corollario delle valenze sociali ed individuali della sessualità, sono il vero argomento di entrambi i romanzi. Anche se la struttura narrativa dei due libri è diversa, in entrambi il lettore "sud-europeo" (qualsiasi cosa ciò voglia dire) è confrontato con situazioni familiari in qualche modo anomale. Quello che è peculiare non è la presenza di figli nati fuori dal matrimonio, o di coppie omosessuali o di persone che cambiano orientamento sessuale, o di ménage a trois. Ciò accade dappertutto e basta guardare un film francese contemporaneo per farne una scorpacciata, di situazioni simili. Quello che rende diverso l'approccio dell'Ólafsdóttir (e quindi per estensione, assumo, della società islandese) è che queste situazioni "anomale" non sono mai accompagnate dalla pressione sociale, esplicita o interiorizzata, che inevitabilmente è presente in un'opera narrativa proveniente da una cultura sud-europea. Opera in cui il protagonista sarà spesso tormentato, sottoposto a pressione da parte di genitori, familiari, amici e colleghi, che lo interrogheranno, o con cui si interrogherà in lunghe sedute di autocoscienza, rispetto alla correttezza della propria scelta, per se stessi o per i figli. Per essere moderni spesso non manca la seduta dallo psicologo di turno, che indaga i traumi infantili dei protagonisti.
Tutto questo sembra totalmente assente nei personaggi messi in campo dall'Ólafsdóttir, che sembrano muoversi in una società in cui la pressione sociale risulta totalmente assente, e in cui quindi nessun rapporto di coppia è anomalo, anche se forse il corollario della mancanza di pressione sociale, che indubbiamente può apparire desiderabile agli occhi di molti, è la mancanza di una rete sociale che faccia da ammortizzatore emotivo, visto che i protagonisti le proprie difficoltà le devono affrontare, nel bene e nel male da soli, o al più all'interno della coppia.
L'autrice scrive in modo scorrevole e di conseguenza entrambi i libri risultano di lettura gradevole. L'eccezione, ambientato quasi interamente in Islanda, è forse più compiuto e coerente, mentre una parte importante di Rosa candida è ambientato in un immaginario paese del sud dell'Europa, presso un monastero in un paesino di pochi abitanti. Monastero implica religione cattolica o ortodossa, e i tocchi medievali della descrizione del monastero fanno pensare all'Italia,o forse all'Austria o Germania alpina. Peccato che il risultato sia un'ambientazione poco convincente, poco incisiva, con in particolare la figura del prete che dispensa consigli spirituali in forma cinematografica, che, per quanto divertente, risulta quasi onirica e poco realistica, difetto che probabilmente deriva dalla scarsa dimestichezza dell'autrice con la religione cattolica e coi membri del clero relativo.
Concludendo, ho trovato l'Ólafsdóttir un'autrice di talento e fantasia, piacevole da leggere, con una narrativa che riesce a trasportare il lettore nella propria cultura e nel proprio mondo di origine, con romanzi brevi e scorrevoli la cui lettura richiede un impegno limitato da parte del lettore.