Che un numero crescente di persone decidano di rischiare la propria vita per arrivare in Europa, affrontando il mare in condizioni precarie, è senza alcun dubbio un dramma della nostra epoca. Casualmente, per pura coincidenza geografica, una gran parte di coloro che arrivano dall'Africa sbarca sulle coste italiane, e non necessariamente perché voglia restare in Italia, ma perché è il primo punto dell'Europa su cui mettere piede. Anzi, spesso sbarcano a Lampedusa, un pezzetto di Africa dal punti di vista geologica ma un pezzetto di Italia dal punto di vista politico e legale.
Si tratta di un dramma che ha polarizzato le cronache recenti, spesso divise fra posizioni ideologiche. Da un lato chi si fa partitario dell'accoglienza a tutti i costi, "a prescindere", per motivi umanitari o ideologici. Dall'altro chi invece, intimorito dallo spettro di un'invasione (reale o percepita che essa sia), dalla paura dell'altro, pensa che bisogni "far qualcosa" (ad esempio, "aiutarli a casa loro"). Difficilmente un dibattito utile fra queste posizioni è possibile, e di conseguenza è difficile leggere qualcosa che non sia ideologico, a prioristico, e quindi (almeno per il sottoscritto) di scarso interesse.
Il libro di Davide Enia si colloca in questo panorama riuscendo a rimanerne fuori. L'autore si è recato a Lampedusa, ad osservare da vicino ciò che succede quando arriva un'imbarcazione carica di disperati alla ricerca di un futuro migliore. A osservare loro ma anche Lampedusa, guardando come l'isola reagisce di fronte a questo ruolo di primo piano che la propria posizione geografica le ha assegnato nella storia del XXI secolo.
E descrive le proprie osservazioni rimanendo sempre sottotono, intrecciando abilmente la descrizione di un fenomeno epocale, che sta mutando il futuro dell'Europa, con narrazioni e riflessioni molto private, analizzando il proprio rapporto col padre, che lo accompagna a Lampedusa, e del rapporto con uno zio malato di tumore e che si avvicina alla fine. E a Lampedusa va a cercare, e lascia parlare, i protagonisti locali, uomini e donne della Guardia Costiera, dei servizi sanitari, volontari, tutti coloro che vivono l'impatto, umano ed emotivo, di quest'ondata di umanità alla ricerca di un futuro migliore.
In questo contesto così difficile l'autore riesce a non scadere nella retorica, nel sentimentalismo, mantenendo invece sempre una grande, enorme empatia nei confronti di chi ha lasciato tutto per un salto nel buio che potrebbe costargli la vita, per cercare un futuro diverso, sperabilmente migliore. Forse proprio per quest'assenza di retorica, la narrazione coinvolge e commuove (o, almeno, ha coinvolto e commosso il sottoscritto), anche perché mai l'autore dice cosa si dovrebbe fare. Racconta, narra di uomini e donne, di bambini, di anziani, che cercano di varcare il mare alla disperata ricerca di qualcos'altro. E che meritino che qualcono racconti la propria storia. Nell'enorme difficoltà della loro vita hanno avuto la fortuna di incontrare qualcuno che questa storia ha deciso di raccontarla con grande, profonda umanità.