Forse dovrei iniziare questa recensione con una confessione: ogni tanto godo nell'immergermi in romanzi che senza dubbio sono classificabili come "best sellers" (ovvero romanzi "di cassetta"), libri le cui pecche mi risultano evidenti durante la lettura, e che però, nonostante tutto, mi regalano alcuni giorni di immersione in una realtà diversa. A volte, a cose fatte (ovvero a libro finito), vivo la lettura ultimata con un vago senso di colpa, mi dico che a parità di pagine avrei potuto leggere un libro più illustre, un libro che mi avrebbe lasciato qualcosa. Ma tutti abbiamo bisogno di relax, e questo tipo di lettura forse dovrei viverlo così, come un modo (tutto sommato innocente) di lasciarmi trasferire per qualche ora in una realtà parallela, immaginaria, in cui i crucci del quotidiano sono assenti.
"Il cardellino" ("The goldfinch") appartiene a questa categoria. Non posso dire che sia un grande libro, e ancor meno un capolavoro. Però, prima di elencarne i difetti, mi sembra doveroso ammettere che mi ha regalato diverse ore di svago, di immersione in una realtà che mi ha incuriosito e a tratti coinvolto.
Ciò detto, il libro è indubbiamente carente da diversi punti di vista. La trama vorrebbe ruotare attorno allo splendido quadro dell'enigmatico pittore olandese Karel Fabritius, che dà il titolo la libro. E mentre le vicende del quadro (che non descrivo in dettaglio qui, sia perché richiederebbero parecchio tempo, sia per non rovinare il piacere a chi ancora non ha letto il libro) sono rilevanti nei primi capitoli, il tentativo di far sì che il quadro fornisca un filo conduttore filosofico a tutto il libro fallisce di fronte alla superficialità filosofica dell'autrice: i monologhi sulla capacità dell'arte di illuminare la realtà, di fornirle un senso, che l'autrice mette in bocca al protagonista, appaiono superficiali e pretenziosi, un tentativo mal riuscito di dare spessore intellettuale ad un libro che è essenzialmente d'intrattenimento.
Curiosamente, il libro vorrebbe essere ambientato nel presente, in un'epoca evidentemente contemporanea, come si inferisce dalla presenza dichiarata di oggetti come l'iPhone. Ma l'ambientazione temporale è curiosamente incoerente, non ultimo perché la New York in cui molto del romanzo si svolge ha un forte sapore anni '60, una città che sembra uscita da Colazione da Tiffany, quasi aliean rispetto all'epoca in cui il libro vorrebbe essere ambientato. E questo crea una curiosa dissociazione cognitiva nel lettore (almeno in questo lettore...), rappresentando una vicenda che ha luogo in un mondo diverso dal nostro, simile ma allo stesso tempo profondamente diverso, quasi in una realtà parallela.
Le incongruenze del libro sono probabilmente perdonabili, e tutto sommato ogni opera di narrativa ha diritto a delle licenze poetiche, purché non siano troppo stridenti. Qui alcune sono vicine all'esserlo, come ad esempio quando all'inizio il protagonista e la madre, in difficoltà economiche, continuano ad abitare in un appartamento di Manhattan con tanto di portinai e ingresso Art Deco. L'artificio letterario di un affitto a equo canone è, per chiunque abbia mai cercato casa a New York, più fantasioso di un regalo di Babbo Natale...
Ciò detto, con tutti i limiti del libro, va riconosciuta all'autrice la capacità di portare il lettore con sé in un viaggio a volte contorto, a volte vagamente irreale, ma tutto sommato coinvolgente. Pur a volte irritato dagli ovvi limiti di alcune parti del libro, ho deciso alla fine di farmi trascinare nella vicenda. La mia conclusione è forse che se il lettore mantiene le proprie aspettative ad un livello adeguato al libro stesso piuttosto che alle ambizioni che il libro esprime, non ne sarà deluso...