La narrazione del libro ha come vera protagonista la storia di una famiglia normale, ovvero genitori, due figli e un cane. Una famiglia in cui entrambi i genitori sono per metà italiani e metà francesi, un innocente artifizio narrativo che permette all'autore di ambientare il racconto fra l'Italia e la Francia. Lui e lei si conoscono da ragazzi, si innamorano, si sposano, e fanno due figli. Poi, diventati grandi i figli, lui ha una storia con un'altra e si separano. Una storia come mille, che ovviamente non impedirebbe ad un grande narratore di trarne un grande romanzo. O più semplicemente, ad un narratore dignitoso di trarne un romanzo dignitoso.
Ma l'autore in questo caso aggiunge un ingrediente che probabilmente ambisce ad essere il tocco di originalità del romanzo, ciò che lo rende speciale – peccato che sia un tocco pieno di incongruenze, perfettamente inutile ai fini della narrazione e che appesantisce il tutto senza nulla aggiungere al romanzo. Ovvero, la voce narrante è quella di una curiosa entità, Violette, la figlia che i nostri protagonisti non hanno mai avuto ma che secondo il narratore tutti, separatamente, avrebbero desiderato. E che anche se invisibile parla con ciascuno dei familiari, senza però che loro sembrino esserne coscienti. Fosse solo una voce narrante esterna, dotata dell'onniscienza che un narratore ha il pieno diritto di avere nei confronti dei propri personaggi, non ci sarebbe nulla di male. Ma per creare tale voce narrante non vi sarebbe stato bisogno alcuno di ricorrere all'artifizio, inutile, della figlia mai nata. In questo caso la voce narrante fa anche considerazioni filosofiche sulla vita (di nuovo, pieno diritto del narratore), che però in questo caso appaiono purtroppo alquanto banali e trite.
Alla fine, la voce di Violette ha una presenza alla quale l'autore non riesce ad imprimere alcuna logica, alcuna coerenza interna. Nulla in contrario a lasciarsi trascinare in un mondo narrativo in cui non valgono le regole del nostro quotidiano, anzi, in parte è la gioia della narrativa. Ma, anche se diverse dal nostro, un mondo narrativo deve avere delle regole con una propria logica e coerenza interna. Che qui manca, lasciando il lettore spiazzato in più occasioni.
Ed è un peccato, perché la storia della famiglia ha una sua coerenza che potrebbe risultare in un affresco gradevole, non ultimo perché la narrazione, quando Violette sparisce sullo sfondo, risulta gradevole e leggibile. Ma il tentativo di aggiungere questo elemento ulteriore, incoerente e filosofeggiante, tradisce un'ambizione che chiaramente va al di là delle capacità narrative dell'autore…
Peraltro la narrazione risulta difettosa su diversi livelli, non ultima l'ambientazione. Non è per nulla chiaro quando avvengono i fatti narrati, da pochi indizi uno inferisce che i genitori diventano adulti durante gli anni '60, ma sono davvero indizi (come un fugare riferimento ad una Citroën DS di proprietà della mamma della famiglia), che peraltro stonano col linguaggio da adolescente anno 2014 della voce narrante: non credo che un'adolescente degli anni '60 avrebbe usato il termine "fichissimo", venuto alla ribalta post-anni '80, l'infame epoca dei paninari. Senza voler pretendere che un libro ambientato in una certa epoca debba vedere parlare i protagonisti esattamente come si parlava all'epoca, un minimo di coerenza anche linguistica è essenziale per creare e mantenere l'illusione narrativa. Illusione che si crea anche attraverso la descrizione degli oggetti e del loro uso, e attraverso l'evoluzione dei costumi. Ingredienti del tutto mancanti nel libro in questione.
Il risultato è un libro inutilmente mediocre, che con meno ambizioni sarebbe potuto essere invece semplice e gradevole…