Le librerie europee traboccano di libri sulla storia della seconda guerra mondiale. Abbondano le opere d'insieme, ma anche gli studi dettagliati di singole battaglie, ma la stragrande maggioranza di questi volumi si concentra su ciò che accadde in Europa occidentale, ovvero sui fronti su cui furono coinvolte le truppe anglo-americane contrapposte ai tedeschi e agli italiani. Si parla marginalmente del nord Africa, che fu un appendice dello scontro in Europa, e in Italia si parla brevemente della Russia a causa dei disgraziati Alpini inviati da Mussolini a morire sul Don, le cui vicende hanno generato, grazie a personaggi di rilievo come Nuto Revelli, un'importante produzione storica e letteraria.
Però, a parte questo episodio, importante per capire il delirio dei governanti italiani dell'epoca, ma marginale rispetto all'andamento della guerra, poco o nulla si sa in Italia di ciò che accadde sul fronte orientale. È un'omissione allo stesso tempo comprensibile e sorprendente. Comprensibile perché le vicende che hanno disgraziatamente martoriato il suolo patrio assumono inevitabilmente una rilevanza maggiore, indipendentemente dalla loro importanza per così dire globale. Sorprendente, perché gli eventi sul fronte orientale furono per molti aspetti quelli decisivi della seconda guerra mondiale.
I numeri parlano tristemente chiaro: i soldati sovietici morti in guerra sono stimati attorno ai dieci milioni, con un numero di civili paragonabile (stimato fra i 10 e i 15 milioni). In totale, si stima che circa il 14% della popolazione sovietica sia morto durante la guerra. L'unico paese con un numero di vittime paragonabile all'Unione Sovietica è stato la Germania nazista, con 4 milioni di soldati morti in guerra (e dell'ordine di un milione di civili), per un totale di circa il 10% della popolazione morto durante la guerra.
In confronto, e senza voler ovviamente stilare impossibili classifiche della sofferenza, le vittime in Europa occidentale furono pochissime: l'Italia vide perire circa 350 mila soldati e 150 mila civili, ovvero circa l'1% della propria popolazione. Le vittime francesi ammontarono a circa 200 mila soldati e 400 mila civili, in totale una percentuale della popolazione simile a quella italiana. Le vittime inglesi furono circa 400 mila soldati e 70 mila civili, in totale meno dell'1% della popolazione. Quelle degli Stati Uniti, con 400 mila soldati e 12 mila civili, rappresentano appena il 3 per mille della popolazione totale. Non per niente qualcuno disse che la guerra fu vinta "grazie al tempo dato dagli inglesi, dal denaro dato dagli americani, e dal sangue dato dai sovietici".
Un ipotetico storico "obiettivo" potrebbe quindi considerare tutto ciò che accadde in Europa occidentale come un episodio minore, quasi trascurabile, una sorta di scaramuccia marginale rispetto al conflitto epocale che vide contrapposte la Germania nazista e l'Unione Sovietica. Un conflitto che chiaramente ebbe caratteristiche diverse da quelle del conflitto sul fronte occidentale, con conseguenze purtroppo molto più devastanti per gli eserciti coinvolti e per la popolazione civile, sia durante la guerra che immediatamente dopo. Non è un caso che la seconda guerra mondiale sia nota in Russia come la "Grande Guerra Patriottica", con una visione russo-centrica che però appare, in questo caso, giustificata.
È facile capire come la storiografia sia dal lato tedesco che quello sovietico sia stata di carattere diverso rispetto alla storiografia "occidentale". Mentre ovviamente tutta la storiografia risente di influenze politiche, credo sia innegabile che la storiografia anglosassone abbia potuto imbarcarsi in indagini storiche independenti, con storici le cui opinioni nazionali ricoprono l'intero spettro politico, dal marxismo al fascismo. La storiografia sovietica è invece inevitabilmente stata condizionata dal dover operare all'interno di un regime fortemente ideologico, dove la storiografia era uno strumento politico. Di conseguenza opere "sovietiche" sono di difficile reperibilità in occidente, e, uno sospetta, sarebbero di interesse limitato eccetto per chi volesse studiare l'influenza dell'ideologia sulla storiografia.
Vasilj Grossman è un'evidente e notevole eccezione a questa regola. Grossman fu un testimone diretto della guerra sul fronte orientale e delle sue dimensioni "bibliche", nel senso di assolute, epocali. Fu infatti corrispondente di guerra, lavorando sin dal 1941 per il giornale delle forze armate sovietiche. Fu a Stalingrado per quasi tutta la durata della durissima battaglia che vi ebbe luogo, e seguì poi le truppe sovietiche lungo tutta la loro avanzata fino a Berlino. Il libro Uno scrittore in guerra è un'edizione di una serie di passi scelti dei suoi taccuini di guerra, curati da Antony Beevor e Luba Vinogradova. Beevor è uno degli storici inglesi più competenti in storia della seconda guerra mondiale, e con un particolare interesse rispetto agli avvenimenti sul fronte orientale.
Nonostante si tratti di taccuini di appunti gli scritti di Grossman, oltre a costituire una testimonianza diretta, gli scritti di Grossman hanno anche un'indiscussa qualità letteraria. Il testo che li accompagna, redatto da Beevor e dalla Vinogradova, permette di inserire i testi di Grossman nel contesto degli avvenimenti della guerra (e costituisce, de facto, un apparato critico di note), e permette al lettore di capire meglio ciò che Grossman scrive.
La testimonianza più drammatica è senza dubbio quella dell'arrivo nel campo di sterminio di Treblinka (i campi di sterminio furono un altro elemento presente solamente sul fronte orientale), la cui lettura lascia senza parole per parecchio tempo. A quest'evento drammatico Grossman dedicò un breve libro, L'inferno di Treblinka, una lettura difficile per l'enormità degli orrori descritti, ma che rappresenta una rara testimonianza diretta dell'orrore inimmaginabile dei campi di sterminio.
Quello che traspare dagli scritti di Grossman è una guerra totale, di annientamento, in cui il nemico deve essere non sconfitto ma annientato e distrutto. Una guerra in cui ogni traccia di umanità è annullata, e che lascia dietro di sé solamente distruzione e sangue.
La lettura del libro è sicuramente utile per percepire l'enormità degli avvenimenti che ebbero luogo nell'Europa dell'est, e per ricordarsi gli orrori, il vero e proprio inferno in cui l'Europa era precipitata fra il 1940 e il 1945, un inferno di cui l'Europa occidentale ha solo sperimentato i primi gironi, quelli in cui, nonostante si pensi di essere arrivati al fondo, se ne è ben lontani...