Avevo letto l'opera che aveva reso Wu Ming famoso, Q, con passione e interesse, e come ho scritto altrove l'ho trovata non soltanto e forse non solamente un'opera narrativa di grande respiro, ma anche un interessantissima presentazione della storia di un periodo chiave per l'Europa, quello della Riforma, da un punto di vista non convenzionale. La scelta di far sì che il romanzo si svolgesse in luoghi e attraverso vicende storiche, popolato da personaggi per la stragrande maggioranza anche loro storici, forniva agli autori una splendida occasione per far vedere al lettore la Riforma da punti di vista sicuramente sconosciuti alla maggior parte dei lettori italiani. Un'espediente letterario che in Q forniva il materiale per un romanzo avvincente che allo stesso tempo era un saggio storico e sociologico sui fattori che portarono alla Riforma e alle forze che la sostennero o la combatterono.
L'armata dei sonnambuli tenta la stessa operazione, esattamente con gli stessi ingredienti, scegliendo come argomento la Rivoluzione Francese, ovvero uno dei pochi eventi della storia d'Europa paragonabile, in importanza e in impatto globale, alla Riforma. Tutta la vicenda de L'armata si svolge nella Parigi rivoluzionaria, e ha come sfondo la parabola della Rivoluzione, dalla ghigliottina che spicca la testa di Luigi XIV attraverso il periodo del Terrore fino alla reazione che portò sulla stessa ghigliottina la testa di Robespierre e di altri giacobini.
Mentre però la vicenda di Q trasporta il lettore in un viaggio allo stesso tempo dotto e affascinante in praticamente tutta l'Europa dell'epoca della Riforma, L'armata si svolge principalmente all'interno delle mura di Parigi (oggi si direbbe all'interno del Periferique...), con qualche breve excursus verso le provincie francesi. In più, liddove Q metteva in campo le grandi forze che determinarono la storia dell'epoca (e di buona parte dei secoli successivi), col risultato che i personaggi hanno una loro, a volte involontaria, grandezza, nell'Armata gli attori appaiono molto più mediocri e provinciali, a tratti animati da oscure e misteriose forze, che però non riescono nel libro ad apparire come i motori primi della Storia. Forse non è un caso che uno dei protagonisti sia un attore fallito, perché in qualche modo questo fallimento è quello dei personaggi de L'armata, che vorrebbero essere tragici ma appaiono in molte occasione farseschi.
Oltre alle limitazioni intrinseche risultanti dalla trama, il libro è appesantito da scelte linguistiche inutilmente vezzose, le pagine sono picchiettate di un gergo inventato dagli autori che vorrebbe probabilmente richiamare l'uso del francese, ma che risulta solo faticoso e di nessun interesse reale per la narrativa: le pagine sono piene di di termini inventati, come ad esempio "gecco" per indicare un qualsivoglia uomo (posso supporre, trascrizione fonetica in italiano del francese "Jacques"). Mentre alcune possono essere ovvie (ad esempio garzo, evidentemente da garçon, ragazzo, o saloppa, da saloppe, per zoccola) per chi parla il francese, nella loro maggioranza saranno curiosamente incomprensibili per chi non lo parla. Simili esibizioni di erudizione francofona non aggiungono nulla al libro se non un fastidio inutile per il lettore; messe in campo una volta, cum grano salis, potrebbero essere simpatiche. Ma il loro abuso appesantisce inutilmente il testo.
Lo stesso si può dire per le pedanti dettagliate descrizioni delle peculiari concezioni dell'epoca sul "magnetismo animale", curiosa miscela di medicina, esoterismo e parapsicologia, che indubbiamente era molto alla moda nei salotti dell'epoca. Il tutto è utilizzato ai fini della trama del libro (in maniera a mio modesto avviso peraltro non necessaria), ma per far ciò non sarebbe stato indispensabile esibire la propria erudizione rispetto ad argomenti che, ad un certo livello di dettaglio, possono essere di interesse per gli storici della scienza ma non necessariamente per il lettore di un romanzo.
Il libro che risulta da queste scelte si legge con molta più fatica di quanto non sarebbe necessario o desiderabile, e rimane, purtroppo, una pallida imitazione della rocambolesca avventura di Q. Per certi versi il libro mi ricorda "l'isola del giorno dopo", di Umberto Eco, un libro tanto noioso quanto spocchioso, in cui l'autore esibisce per centinaia e centinaia di pagine la propria capacità di scrivere in un italiano dei secoli passati nonché quanto è dotto ed erudito. Ma almeno in quel caso il tutto è fatto con un'eleganza che qui manca.
È forse inevitabile che dopo l'exploit invero brillantissimo di Q il tentativo di applicare la stessa ricetta, più o meno letteralmente (anche se traslata in un'altra epoca storica e attorno ad altri eventi) susciti un immediato paragone con Q stesso. Però non è colpa del lettore se gli autori non sembrano riuscire a rinnovarsi esplorando formule narrative diverse. Tutto sommato, Q era stato epocale, una ventata di aria fresca nella narrativa italiana nonché nel modo italiano di scrivere di storia. L'Armata è invece purtroppo un libro pesante, con una base narrativa insoddisfacente, in cui lo sfondo storico non apporta (di nuovo a differenza di Q) alcuna prospettiva nuova sugli eventi trattati (in questo caso la Rivoluzione Francese) né contribuisce a rendere più affascinante la narrativa stessa.
Avevo iniziato la lettura dell'Armata con grandi aspettative, legate appunto al ricordo di Q, che mi aveva trascinato in un viaggio meraviglioso attraverso l'Europa rinascimentale. Mi sono ritrovato a fare uno sforzo per lasciarmi trascinare di malavoglia in oziosi giri per le strade della Parigi rivoluzionaria, sperando di poter tornarmene a casa rapidamente. Ho sì terminato il libro, ma con scarsa voglia di acquistare il prossimo libro di Wu Ming...
Nota: questa recensione ha suscitato un'immediata reazione da parte di uno degli autori del libro. Potete trovare lo scambio risultante qui.